martedì 29 gennaio 2008

Choice or chance

"Allora Dio, nel settimo giorno portò a termine il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro"


Quando mi dicevano ‘il mondo del lavoro la fuori ti divora’, non avevo sentore del fatto che avrebbe divorato la mia dignità.


Prima di tutto questo, lavoro in nero, lavoro a ritenuta d’acconto, lavoro a titolo semi gratuito.

Nel 1997, e sono a tre anni dalla laurea, inizia il lavaggio del cervello che va sotto al nome ‘flessibilità sul lavoro’. Arriva un certo Treu e in Italia sbarcano, in forze, le cosiddette Agenzie di somministrazione, più comunemente note sotto l’epiteto ‘interinali’. Ma interim non veniva dal latino e non voleva dire ‘temporaneo’? Come può una presentazione del genere lasciare a presagire qualcosa di buono?

Eh siamo all’avanguardia noi, ah si, adesso che siamo flessibili, ci dicono. Importiamo dal nord d’Europa un modello di lavoro già consolidato in quei paesi da diversi decenni. Un qualcosa che dovrebbe servire, a tutti gli effetti e se ho ben compreso, a consentire ad un disoccupato in attesa di giorni migliori, la possibilità di accedere ad un lavoro decoroso, retribuito ai sensi di legge, coperto da previdenza, assistito, per quanto temporaneo. Oppure dovrebbe consentire la normazione di lavori che, per caratteristiche intrinseche, debbono avere necessariamente un carattere di temporaneità. Vaghissimamente con accezione diversa, da noi. Forse un pochino ino strumentalizzata ad altri fini ma non sbilanciamoci oltre.

L’anno dopo, nel 1998, decidiamo di diventare ancora più flessibili, e la legislatura (sta tanto male se cito che era quella di sinistra?) partorisce la genialata ultima, una sorta di nuovo contratto collettivo nazionale di cui non comprendo bene il significato, ma soprattutto la portata che avrà a lungo termine. Una bomba a rilascio lento. Arrivata in sordina.

Ben tre anni dopo, finalmente mi laureo. Un mese prima della sudata carta, già arrivata oltre tempo debito per mia leggerezza, trovo un posto di lavoro grazie ad un’amica. Fortunata, a detta di tutti. Non capita sovente.

Il primo colloquio non me lo ricordo, ad essere sincera, ma forte della mia aura di gran paracula, loro propongono ed io accetto. Entra il co.co.co nella mia vita, e credetemi se vi dico che sarà una passione duratura. Il codice fiscale di Contratto di Collaborazione Coordinata e Continuativa. Collaborazione con chi? Forse sta per collaborazione ai vantaggi delle cosche mafiose che ci governano, e non avevo inteso da subito l’ironia velata? Riprendo la rotta, ho espresso una mezza opinione e vorrei tanto astenermene, in questa sede. Le opinioni che germoglino dai fatti.

Corre l’anno 2001 e mi dicono si tratti di una forma di lavoro ‘atipico’. Detta così sembrerebbe carina. Che lavoro svolgi? Io? Tieniti forte, un lavoro atipico!

Rende singolari, unici, non è vero?

Arriva la prima busta paga e sinceramente chissenefrega, una volta scontata la pena da studente ci sono dei soldi e va bene così poi tanto l’INPS me la pagano no? Seh.

Fino a quando decidi d’aprirla e ti prende freddo alla pancia. Sfido chiunque a dirmi che non si ricorda della prima busta paga (italiana) mai aperta. Un intrico assolutamente non decriptabile se non forse con la cabala e la lettura della carta astrale, fitto, di terminologia astrusa. Certo il superminimo abbiamo capito tutti cos’è, l’EDR pure etc…mi ci è voluto qualcosina di più ma ci sono arrivata anche con il mio cervello assolutamente non elastico sugli argomenti in questione.

Ma la domanda quanto ho guadagnato rimane inattesa. Tolto questo, togli quell’altro, pensa ad un numero, moltiplica per tre, togli due, pensa ad un colore, fai un balzello e tre giri su te stesso, un triplo con avvitamento e la richiudi catatonico. Quel fastidio da ‘chi me l’ha fatto fare’. Rimane il numero alla fine, ma non è ben chiaro dove siano finiti gli altri numeri. Naturalmente mi rivolgo ai miei coetanei che hanno visto le stesse cose che ho visto anch’io. Non conosco la legislatura in merito negli altri paesi della comunità europea (restringiamo il cerchio altrimenti non ne usciamo vivi), ma sfido chiunque a propormi una formulazione peggiore di busta paga. Ancora oggi rimane un documento da aprire, vedere il numero alla fine, sospirare con sollievo (o farsi prendere da improvviso coccolone) controllare che ci siano gli straordinari (quando, di grazia, vengono riconosciuti), richiudere e riporre nel cassetto.

Scopri solo che l’Inps è a 1/3 a carico tuo, moltiplicando miracolosamente le detrazioni sul tuo amico, il numero finale anzi di partenza, peggio. Ma voglio fingere di non averlo mai capito. Ti si inizia ad aprire un occhio.

Si susseguono delle finanziare se ben ricordo. O forse erano prima. Ma anche durante, di sicuro. Dev’essere uno dei termini che ho sentito di più negli ultimi anni, prima con allarmismo, ora è come sentir parlare di cereali a colazione.

Passa un anno. Capodanno 2001-2002. Quei pochi, entusiasti, che hanno già fatto un giro in banca, brindano con l’euro. Tanto è facile, ci hanno anche mandato una fighissima calcolatrice tascabile blu a casa.

Il sottomansionamento sul posto di lavoro è tangibile, la laurea è ancora fresca e si è ancora belli tronfi, ma uno pensa sono giovane devo farmi le ossa e giustifica anche il lupo travestito da cappuccetto rosso, basta che non morsichi. Tirocinio, dai. Eh si, un giorno arriverà. Cosa, non si sa. Ma sarà come l’arca di Noè.

Passa il secondo anno: scazzo. Lavori come un automa, ti fai bello, prima o poi mi vedranno, mi rendo indispensabile e verrò premiato. Ingenuità spalmata a strati spessi. Di sopra non ci vai nemmeno, a parlare, ognitanto ne vedi scendere uno mal ciancicato e ad orecchie basse. La parola ‘assunzione’ viene mormorata soffocata in sottocoperta con l’aria di cospirazione da imbarcazione negriera. Per ogni nugolo di co.co.co., un assunto. Ci sono ben delle leggi da rispettare in Italia, diamine!

Shhht. Pare che qualcuno ce l’abbia fatta, era il suo ‘turno’.

Eeeeeh, la meritocrazia!

Finisco l’anno un po’ più povera ma non me ne sono ancora accorta.

Arriva anche il 2003. Il bel paese naviga in acque zozze. Puzzano anche un po’. Anzi a quanto pare tutto fluttua in un mare di merda. Ah ma noi siamo in comunità europea, si si, e c’abbiamo l’euro, c’abbiamo.

Non c’è più molto lavoro a cui appellarsi (o se c’è, nessuno sa come accaparrarsene uno, se lo vedete che gironzola errabondo da qualche parte fate un fischio). In qualche località non ben precisata d’Italia, forse al sud, nasce il signor Lavoratore Precario, figlio bastardo di più legislature.

A metà anno ho un incidente (si, un incidente, per fortuna modesto ma con implicazioni) e scopro che il co.co.co. non copre il posto di lavoro al dipendente per più di 90 giorni di assenza continuativa. Giustificata da certificati medici, sia ben inteso. Sei mesi di riabilitazione e tanto piacere, io sono la disoccupazione. Grazie per la disponibilità, ma avevamo un carico di lavoro tale che ora ci sono altre tre persone che lavorano al tuo posto, guarda. Saluti.

Ma infondo non è drammatico dai, se sei iscritto al collocamento e ti fai rilasciare opportuna documentazione, la compagnia metropolitana dei trasporti ti fornirà un tesserino di libera circolazione su tutti i mezzi urbani e a costi convenientissimi! Vien quasi voglia. Ma naturalmente anche il disoccupato ha la sua dignità. Ed è proprio quel residuo di dignità che ti spinge a continuare a pagarti il biglietto del tram, cara la mia azienda metropolitana dei trasporti unificati dei miei stivali. O anche a non pagarlo, se non c’è come. Dopotutto chissenefrega, sono disoccupato e mi arrogo anche dei cazzi di diritti, per una volta.

Finisco l’anno povera e a questo giro si che me ne rendo bene conto.

Le bollette urlano. Nel frattempo, forse, qualche altra finanziaria? Non ricordo, non voglio saperlo. Mi fido e ‘sorridi sempre’.

Ma non finisce qui.

Precario muore martire e sconcertato e viene canonizzato ufficialmente. Forse il 1°maggio, mentre sventolano le bandiere della pace un po’ dappertutto, se ben ricordo. Il giorno di San Valentino (la politica sa mantenere un certo suo aplomb, nonché una certa verve umoristica naturale) di quello stesso anno, circa 5 mesi prima del mio incidente, viene al mondo il signor Biagi. Anzi, cerchiamo di essere precisi per una volta, fatemi un favore e wikipedate Marco Biagi e ditemi cosa trovate. Fior di esperto in diritto del Lavoro. La sostanza cambia poco, qualcuno (sappiamo bene chi) vara una legge 30 col suo nome, visto che Biagi ben ci aveva lavorato seppur sotto minacce. Qualcuno, intesi, della legislatura corrente all’epoca (forse qui è davvero scortese se cito che era una governo di destra, che dite); è il procrastinarsi dell’incredulità per tutti quanti hanno bisogno (e voglia, perché no) di lavorare. Aria di rinnovamento, via co.co.co., benvenuto co.co.pro. Cambia il nome ma l’inculata è la medesima. Finisce la collaborazione coordinata continuativa, arriva il lavoro a progetto. Nascono (?) le agenzie per il lavoro. Quale lavoro? Wanted.

Sono passati 12 mesi, la laurea è una memoria disgustata, sono volati 800 curricula in formato elettronico con tanto di gran lettere di presentazione stilate ad hoc, caso per caso. Priorità al mio settore. Quando capisco che butta male, mi allargo un po’ alle ‘attinenze’, ai ‘dintorni’ al ‘pressappoco’, al ‘forse mi riuscirebbe bene anche quello’, al ‘chissà’.

Sai, i disoccupati non hanno un cazzo da fare, nella vita. Sediamoci e scriviamo un po’, tiene la mente occupata. Il copia-incolla poi è una vera manna, ti aliena il cervello e ti carpalizza il polso.

Esiti: 10 colloquii in tutto, nessuna proposta concreta. Se le mie nozioni di analisi non mi hanno ancora abbandonata dopo le ere del sottomansionamento e della disoccupazione….mumble mumble…dovremo essere qualcosina sopra all’1% di esiti su domande effettuate.

Nel frattempo, perché non di solo disgusto vive l’uomo, mi arrabatto con lavoretti ad ore (no, non quelli a cui state pensando) ma tant’è e tiramm’innanzi.

Prima liquefazione del sangue di San Precario, si urla al miracolo ma non sanno che il santo piange e basta.

Il 2004 volge a metà, e la bolletta volge in mora. Tutte le bollette.

Ad agosto, dopo quasi un anno di inattività - non passiva va da se – eccoti due mesi di contratto (a questo punto non chiedetemi quale). Anzi, ora che mi ricordo, altroché contratto, è stato un bel ritorno nostalgico alla ritenuta d’acconto! Lavoro stile tappa-buchi, copri-emergenze più grandi di te e senza tempo, ma c’è un guizzo in tutto questo. Quel piccolo sollevamento di morale che, nel giro di altri due mesi, ti consente di avere l’aura giusta attira-lavoro, la chiromante di provincia sarebbe stata fiera. Ed il lavoro effettivamente arriva. Sorridi alla fortuna e lei ti arriderà.

Provo le gioie del co.co.pro. Il lavoro in se non è malvagio, peccato che ci sia ancora una mensilità non versata all’INPS e che stia addirittura pensando di donarla visto che le procedure d’accesso al sito relativo si avvicinano più alle procedure di riconoscimento del personale presso la sede centrale di Sylicon Valley che ad un ‘servizio al cittadino’ (sic). Mesi di orecchio viola d’attesa in linea, secoli di attesa per invii password in otto parti diverse, (eh si, perché se malauguratamente cambi residenza nel durante, la PROCEDURA si riavvia), due password per posta, l’ultima la trovi nella scatola di cereali bio al kamut serie dispari senza la Z annata 2001. Quelli fatti a riccio di mais, non gli anellini. Mi manca solo la scansione della retina. Lavoreremo un mese in più per la pensione, mica ci spaventeranno 30 giorni, a questo punto. Se va di culo è bisestile e fa 28.

Lavoro nuovo, stipendio immolato ad avvocati, recuperi credito, more, tasse, bollette. Ça va.

Non passano nemmeno sei mesi e ricevo una telefonata da un’agenzia interinale. Qualche volta era capitato, nell’anno precedente, per cui non ero più vergine a riguardo.

Sapevo che qualcuno pagava qualcuno un tot di soldi e che tu lavoravi per quel qualcuno che pagava quel qualcun’altro, per all’incirca un tot prossimo alla mancia di quel tot di soldi di cui sopra. Qualcosa del genere.

Ma decido di andare a sentire, ‘la ricerca ha caratteristiche d’urgenza’ (quanto è cambiato anche il nostro vocabolario, in questi anni), ed io d’urgenza mi precipito. Non sto scherzando, avevo un paio d’ore per raggiungere l’agenzia, dopodiché la posizione sarebbe esplosa senza lasciare traccia. Il colloquio ricordo sia stato emotivamente molto divertente, per me. Parto molto sottotono. Siamo già nel 2005 e fa quattro anni che sento urlare al lupo al lupo e ritiro ogni volta le mie pecore, a sto giro lasciamole pascolare chissene. All’incirca a metà colloquio CAPISCO che quella posizione è mia, e con sforzo intellettivo decisamente inferiore a quello che la selezionatrice compie, stremata, per cercare di spiegare una posizione che nemmeno conosce. Lo sforzo è reso erculeamente paragonabile alle sette fatiche se si aggiunge il fatto che ci sia una parolina da evitare: il famigerato nome del fantomatico datore di lavoro. Eh la privacy. Il sotterfugio. La fregatura. La caverna di ali babà custodita gelosamente. E poi, dai, si sa… ora la signorina ‘seleziona’ un fresatore, mezz’ora dopo ‘seleziona’ un dirigente.

Aaaah la riforma del lavoro!

Aaah le agenzie!

Legalmente riconosciute dal Ministero, eh.

Intesi, con tutto il sacrosanto rispetto per tutte e tre le categorie così salviamo ‘selezionatrice’, fresatore, dirigente, capre e cavoli e siamo tutti felici. Mi aggiungo anch’io nel mezzo, sono quel che comunemente si definisce un ‘tecnico’.

Ma torniamo al colloquio. Dopo l’accensione delle mie sinapsi nulla è più come prima. Capisco che il lavoro è quello che voglio, il colloquio verte in colloquio da manuale, il mattino dopo sono in azienda a fare il secondo colloquio (Pant! Pant!), la sera dopo mi chiamano, mi vogliono assolutamente ‘somministrare’ del lavoro, tempo mezz’ora do le demissioni, due giorni di preavviso (sarà lo scotto della mensilità non ancora versata alla previdenza?), visite mediche et voilà. E fu così che mi feci somministrare, e volentieri.

2005. Cento anni fa veniva pubblicata la ‘teoria della relatività’ di Einstein, ma non ho voluto cogliere il beffardo segnale.

AZIENDA.

Una parola nuova per me. Fin’ora ho visto uffici, studii, società. Ma ‘azienda’ riempie la bocca. Significa CCNL, significa ferie pagate, significa mutua, significa straordinari retribuiti, significa rappresentanza sindacale, significa indeterminato, significa qualche possibilità di avanzamento di carriera, vuol dire competizione, sfida, lavoro, mettersi alla prova.

E’ tutto talmente bello, talmente terra promessa, le energie tante che ho pensato di compiere un’omissione, nel paragrafi precedenti. I nodi vengono al pettine però, ed ora ve la svelo. Incosciente, ho lasciato un sicuro (?) co.co.pro. per un contratto interinale a tempo determinato di tre mesi.

Non impallidite. Piuttosto, tiro di nuovo in ballo la parola ‘fortuna’, quella che assiste gli audaci questa volta. Era il lavoro che volevo, il posto che volevo, voi cosa avreste fatto? Un rischio. Ho puntato tutto sul 13 rosso alla roulette.

O-o. Stanno per scadere i tre mesi. Le promesse non si contano, e nonostante tutte le controindicazioni e la posologia limitata, lavoro bene per la prima volta dopo tanti anni. La vista di un probabile-possibile-forse-magari-vedremo traguardo è un qualcosa d’immenso per un lavoratore. Coi tempi che corrono, poi! (Era tanto per usare un espressione della nonna). Insomma sono tutti soddisfatti, io, il datore, spero anche chi lavora con me e siate bravi se ve lo chiedono. Cori di cherubini e vaga ansia. Assolutamente un rinnovo a breve, dormi serena la notte. Stai tranquilla, si risolverà per il meglio. Non ci scapperai facilmente (con sottofondo di risatine).

Il rinnovo arriva ed è da due mesi.

Mai, e dico MAI, e sottolineo mai in vita mia, nemmeno nei più deliranti apici di fantasia creativa, avevo creduto che la laurea la potessi usare per imballarci le arance. Eh. Ma i contratti da due mesi non si facevano ai raccoglitori stagionali della frutta?

Stai serena, stai tranquilla, sta bbbuona, vedrai. E fino a momenti prima della scadenza, poco prima di iniziare a puzzare come il pesce in avaria, come lo yogurth in muffa, niente. Nemmeno quel residuo moto di empatia che uno spera sia presente in ogni essere umano, da allungarti un foglio da firmare con un tempo congruo di preavviso. Vedrò? Vedrò cosa? Spero non i sorci multicolori, se non altro.

Intanto, nel 2007 l’Italia riceve un richiamo dall’ILO, l’ Agenzia delle Nazioni Unite per i Diritti del Lavoro.

Ve la faccio breve perché tanto non c’è molto altro da aggiungere, ho parlato fin troppo. Di contratto in contratto, in Azienda (e scusate se m’incaponisco ad usare la maiuscola) mi ci prostituisco da tre anni. Il mio cliente però è sempre lo stesso, sono diventata monogama, il lavoro non accenna a migliorare in qualità, sottomansiono attivamente in allegria, nessuno – nemmeno il mio diretto responsabile - sa e conosce le mie potenzialità, mi occupo anche di faccende di cui non sono tenuta ad occuparmi per contratto, la posizione è medesima da anni malgrado il CCNL, già decantato prima (posso dire: ingenuamente?). Rivolgersi ad un sindacato è fuori cogitazione, la bolletta scalcia peggio di prima, gli anni passano e da abbastanza poveri stiamo diventando parecchio poveri, vorrai mica rimanere per strada di nuovo?

E loro questo lo sanno. E lo sapete anche voi.

Passano i giorni, i mesi, gli anni. Forse fra qualche giorno il rinnovo con la R maiuscola, quello definitivo.

Si, perché i rinnovi per ora ci sono sempre stati, per carità, ma a quale costo. Al costo, questo si altissimo, della mia salute sottoposta ad altalenanti sobbalzi, senza che una parvenza di futuro sia minimamente avvistabile all’orizzonte. Ma soprattutto a quello impagabile della mia dignità in quanto essere umano e della mia integrità da lavoratore.

Siamo a gennaio 2008.

Qualche giorno fa è caduto il governo.

Fra due mesi compirò 36 anni.